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Su Fabbrica della Comunicazione, Beatrice Silenzi – giornalista e direttore responsabile – si occupa della rubrica, “Comunicazione e Dipendenze”, in collaborazione con Studi & Salute Bolgan.

Ospite di questo appuntamento è la dott. Cristina Ombra, psicoterapeuta.

Il concetto di narcisismo sano è stato coniato per la prima volta da Paul Federn e ha guadagnato importanza negli anni ’70 ed è un senso positivo di sé in linea con il bene più grande. Caratteristiche del narcisismo sano sono: una forte autostima, empatia per gli altri e riconoscimento dei loro bisogni, autentico concetto di sé, di rispetto e amore, saper sopportare le critiche degli altri mantenendo un’autostima positiva.

Narcisismo patologico, secondo gli psicologi, non è ereditario, ma è una strutturazione della personalità che si origina nell’infanzia, più precisamente da quella che viene chiamata “ferita narcisistica” generalmente associata ai sentimenti di vergogna e di risentimento.

Chi è Narciso? Nel racconto di Ovidio, basato sulla versione di Partenio, ma modificata al fine di aumentarne il pathos, Eco, una ninfa dei monti, si innamorò di un giovane vanitoso di nome Narciso, figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e della ninfa Liriope.
Cefiso aveva circondato Liriope con i suoi corsi d’acqua e, avendola così intrappolata, aveva sedotto la ninfa, che diede alla luce un bambino di eccezionale bellezza. Preoccupata per il futuro del bimbo, Liriope consultò l’indovino Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia “se non avesse mai conosciuto se stesso.”

Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età era un giovane di tale bellezza, che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, s’innamorava di lui, ma Narciso, orgogliosamente, respingeva tutti.
Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì il bel giovane tra i boschi, desiderosa di rivolgergli la parola, ma era incapace di parlare per prima, perché costretta a ripetere sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto.
Era stata infatti punita da Giunone, perché l’aveva distratta con dei lunghi racconti mentre le altre ninfe, amanti di Giove, si nascondevano.

Narciso, quando sentì dei passi, gridò: “Chi è là?”, Eco rispose: “Chi è là?” e così continuò, finché Eco non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo modo la ninfa, dicendole di lasciarlo solo. Eco, con il cuore infranto, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce.

Nemesi, ascoltando questi lamenti, decise di punire il crudele Narciso.
Il ragazzo, mentre era nel bosco, s’imbatté in una pozza d’acqua e si accucciò su di essa per bere.
Non appena vide per la prima volta nella sua vita la sua immagine riflessa, s’innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che era lui stesso.
Solo dopo un po’ si accorse che l’immagine riflessa apparteneva a se stesso e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell’amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente: si compiva così la profezia di Tiresia.

Quando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, al suo posto trovarono un fiore, al quale fu dato il nome di narciso.
Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell’Oltretomba, si affacciò sulle acque limacciose del fiume, sperando di poter ammirare ancora una volta il suo riflesso.

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