di BEATRICE SILENZI

La parola olismo deriva dal greco e significa totalità, per cui l’organismo umano viene visto come uno ed unico e, come tale, va curato. Il legame tra mente e corpo, emozioni e pensieri è la base e tutto influisce sulla salute.

Obiettivo della cura non è dunque solo l’aspetto fisico (i sintomi di una malattia), ma anche quello emotivo o mentale che possono contribuire a generare la patologia stessa. Di conseguenza, le terapie aiutano la persona a ripristinare un sano equilibrio psicofisico, portandola ad un processo di auto-guarigione.

Nonostante l’uso inflazionato e fuorviante, la definizione più giusta è un approccio globale alla salute.
La parola olismo, insieme all’aggettivo olistico, è stata coniata da Jan Smuts che nel 1926, pubblicava il libro “Olismo ed Evoluzione”, mai accettato dalla comunità scientifica e neppure da quella filosofica. Egli sosteneva che le proprietà di un sistema non sono date dalla somma dei singoli componenti, ma è il sistema ad influenzare le parti che lo costituiscono.

L’approccio olistico però non deve essere visto come lontano dalle metodologie della medicina tradizionale per due motivi principali: non si limita a curare il sintomo, ma va oltre, entrando in una dimensione di prevenzione e conservazione dello stato di salute.

Inoltre, le due tipologie non si contrappongono e non si escludono a vicenda, semmai la olistica si aggiunge all’altra alla ricerca di un equilibrio che possa migliorare la qualità di vita del paziente.

Dal punto di vista clinico, è fondamentale la relazione tra l’operatore e il paziente, è necessario sviluppare un dialogo ed una grande capacità di ascolto, poiché è la persona stessa a fornire notizie sulle sue condizioni fisiche, mentre altre informazioni vengono captate attraverso una osservazione attenta del volto, dello sguardo, dei gesti, del tono della voce.

Nella cura olistica, il paziente non è passivo, ma attivo, collaborativo, continuamente motivato e supportato, riconoscendogli i progressi ottenuti.