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La quinta lettera dell’acronimo LGBTQIA+, è la Q di Queer.
E Queer sta per particolare, strano, bizzarro, ma all’inizio del secolo scorso – usato in modo dispregiativo, come stigma e che puntava l’attenzione sia sull’orientamento sessuale che sul genere – era sinonimo di “maschio omosessuale effeminato”.
Dunque un’offesa.
L’omosessualità era una stranezza, roba che non riguardava gli uomini perbene, gli eterosessuali (in una parola Straight – dritti – esatto contrario di Queer).
Poi sono arrivati gli anni Ottanta e qualcosa ha cominciato a cambiare.
Come una finestra (di Overton?) che si apre pian piano sul mondo, la tendenza Queer, da inconcepibile ha iniziato a divenire accettabile.
Molto lo si deve ad influenti personalità LGBT – soprattutto nel mondo dello showbiz – le quali manifestavano apertamente il loro orientamento, senza vergognarsene.
Negli anni Novanta, Teresa De Lauretis, professoressa emerita di Storia della Coscienza all’Università della California, Santa Cruz, scrive la Teoria Queer (“Queer theory”. Gay and lesbian sexualities) che, aggiungendo un ulteriore tassello al fenomeno, lo inserisce nell’ambito più prestigioso: quello accademico.
Attualmente, che la tendenza è diffusa, molti si dichiarano Queer, affermandolo a gran voce, consapevoli, a loro dire, della propria identità.
Pura provocazione?
No. C’è chi ancora soffre e chi, in passato, si è sentito ferito nel ribadire una condizione personale, oggetto di malevolenza e meschinità.
C’è chi si è sentito indifeso ed estraneo in una famiglia che non lo ha mai accettato così com’è e chi è stato minacciato o intimorito, o danneggiato ed ora può vivere finalmente questa dimensione con orgoglio.
Queer identifica oggi l’individuo non binario che, a prescindere dal sesso attribuitogli alla nascita, non ritiene di appartenere né al genere maschile né a quello femminile.
È proprio di chi, genderfluid, si riconosce, invece, in entrambi i sessi, modificando la sua identità nel corso del tempo.
Queer esprime libertà.
Di essere se stessi. Di essere omosessuali (cioè eroticamente attratti da persone del proprio sesso), asessuali (ovvero non interessati al sesso) o transgender (che si riconoscono nel genere opposto rispetto al sesso biologico).
Non solo.
Queer è un termine che definisce chi non ha altri modi per esprimere il proprio mondo interiore – al di là del solo orientamento sessuale – e dunque sfida la eteronormatività in tutti gli ambiti della vita, opponendosi a tutto ciò che è – da sempre – ritenuto convenzionale, tradizionale.
Cos’è normale?
Se lo chiede chi non si adegua, (interrogandosi su come siamo arrivati fin qui!) cercando conferma nella storia alla ricerca di quei preconcetti di devianza che possano suffragare quello che non sopporta.
Poi c’è chi nemmeno se lo domanda, ma insulta, giudica, addita chiunque manifesti un orientamento sessuale al di fuori dai canoni considerati accettabili per la società.
È come se la normalità fosse un recinto. Dove vuoi stare: dentro o fuori?
In realtà il quesito è mal posto.
È evidente che il problema non è affatto l’omosessualità ma l’ideologia di cui è intriso il messaggio che tanti, poveri ignari, portano avanti con grande convinzione, da ambo le parti.
E allora le manifestazioni e i cortei?
Ed il gay pride (oggi solo pride, o marcia dell’orgoglio LGBT) hanno ancora ragion d’essere se quello che esprimono è pura propaganda?
Scriveva Michela Murgia in “God save the Queer” che, a suo dire, era perfettamente logico e possibile essere Credenti e Queer allo stesso tempo.
Certo, sottolineava, non è una scelta semplice, perché femministe e Queer sono considerati, da sempre, un’anomalia nel sistema cattolico.
Quelli che sono contrari, scuotono la testa, assistendo a beceri spettacoli color arcobaleno di una piccola umanità che, pur di ribadire la propria esistenza è disposta ad abbandonare ogni forma di buonsenso.
È il potere pseudo-rivoluzionario delle idee che diventano, appunto, ideologia.
Ed è, più tristemente, la presa di coscienza di una sessualità che si cristallizza nell’asterisco dell’ultima vocale.
Eppure non tutti, anche tra coloro che potrebbero fieramente ribadire di essere Queer, si riconoscono come tali, anzi, se ne distanziano, rilevando come questa corrente sia solo una tra le tante e per questo non partecipata e condivisa da tutti i membri della comunità LGBTQIA+.
Infine, una piccola considerazione.
Se Queer è sinonimo di libertà, inclusività ed identità, perché, di fatto, esclude chiunque sia eterosessuale o cisgender (cioè l’individuo nel quale collimano il sesso biologico e l’identità di genere)?
Chissà, forse qualcuno risponde.