di GIORGIO PANDINI

È accaduto di nuovo e questa volta in Olanda.
Un tecnico della manutenzione ascensori del Museo Lam, durante un intervento, vedendo due lattine abbandonate per terra, ha pensato bene di raccoglierle per gettarle nel cestino dei rifiuti, così come qualsiasi cittadino educato e con uno spiccato senso civico, farebbe.

Peccato si trattasse di una delle opere esposte al museo e, più precisamente, di “All the good times we spent together”, del 1988, del francese Alexandre Lavet.
Le “lattine” – create e dipinte artigianalmente, con estrema perizia dall’artista – sono state poi recuperate dal bidone dell’immondizia e, non avendo riportato alcun danno, rimesse in mostra come se niente fosse, previa spolveratina.

Povera “arte” contemporanea: sbeffeggiata, incompresa, ridicolizzata.
Una cosa simile era accaduta all’opera di Cattelan – esposta al Leeum Museum di Seul. Costituita da una sola banana fissata al muro con un nastro adesivo, l’installazione aveva subito una sorte ben peggiore, finendo nelle fauci di uno studente affamato in visita al museo: un inaspettato (ma salutare!) spuntino per calmare gli adolescenziali languori di stomaco.

Ed ancora. Già nel 2011 al Museo East Wall di Dortmund in Germania, ad andarci di messo era stao il tedesco Martin Kippenberger, il cui pezzo più importante della sua collezione era l’installazione stessa: una torre di legno alta due metri e mezzo al centro della quale era posizionata una piccola vasca in gomma decorata con un rivestimento biancastro.

L’opera assicurata per l’incredibile cifra di 800 mila euro, non era stata risparmiata dallo zelo di un’addetta alle pulizie, che aveva ritenuto doveroso dare una lavata alla suddetta vasca, eliminando la patina che la rivestiva.
Danneggiando irrimediabilmente l’opera, la zelante pulitrice ha messo a repentaglio anche la reputazione stessa del museo il cui direttore, Kurt Wetteng, ha ancora le mani nei capelli (ammesso che ne abbia!) per l’imbarazzo e l’ingente danno economico.

Sono episodi che fanno sorridere, ma che dovrebbero spingere gli addetti ai lavori a porsi domande sullo “stato dell’Arte”. Entrando in un qualsiasi museo, ad esempio, non si sfugge alle immancabili installazioni multimediali, con immagini e suoni che – se in origine potevano rappresentare una novità – ad oggi hanno perso tutto il loro appeal.

La verità è che non c’è vera innovazione. Non c’è curiosità e, quando non sono noiose, le opere contemporanee diventano quasi moleste, per coloro che vorrebbero semplicemente godere dell’arte esposta.
Per non parlare delle “performance” propinate dai piccoli emuli della Abramovic, prive di spontaneità le prime e di contenuti gli artisti.

La forma di per sé, senza un messaggio artistico intrinsecamente potente che dia sostanza al tutto, rimane un mero esercizio di stile (se e quando c’è) e di tecnica: un immenso sbadiglio silenzioso, insomma.

Quando beceri vandali ideologici, imbratta-monumenti si accaniscono contro i Monet, Van Gogh, Boccioni, Vermeer e Goya, paradossalmente, mostrano la cartina di tornasole dell’arte: grandi opere danneggiate per far parlare di altro.

E allora dove sono finiti gli artisti?
Forse non sono più in grado di toccare le vette raggiunte dai grandi del passato, o forse è sempre colpa di questa società, così consumistica e degradata da diventare incapace di comprendere davvero l’arte e di percepirne la necessità per l’essere umano.