di GIORGIO PANDINI
In questi giorni a Baku, capitale dell’Azerbaijan, si tiene la ventinovesima Conferenza Onu – nota come COP29, Conferenza delle Parti – la più grande riunione mondiale sui cambiamenti climatici, con una novantina di leader internazionali a fronte di 198 governi mondiali (197 Paesi più l’Unione Europea).
Tutti chiamati a decidere sulla mole di finanziamenti da investire, per tener fede all’obiettivo di contenimento della temperatura globale entro la soglia degli 1,5 gradi entro fine secolo.
Più che l’esiguo numero di capi di governo presenti però, a far notizia è la presenza di una rappresentanza dell’Emirato d’Afghanistan – attualmente governato dai talebani – che, spiccando come i Klingoniani ad una conferenza della Federazione di Star Trek, si sono palesati generando non poche perplessità ed anche qualche malcelata polemica tra i Paesi invitati.
L’Afghanistan, infatti, negli ultimi tre anni a causa di politiche oppressive e persecutorie verso le donne, è sempre stato escluso dalla conferenza, sebbene incluso nella top ten dei territori più vulnerabili al riscaldamento globale.
Un territorio altresì soggetto ad eventi atmosferici estremi che gli “esperti” riconducono al cosiddetto cambiamento climatico.
A tal proposito, va ricordato che proprio lo scorso inverno, forti nevicate e piogge torrenziali hanno compromesso circa duecentomila ettari di superfici coltivabili, mettendo in ginocchio il Paese in cui oltre metà della popolazione vive in condizioni di estrema indigenza.
Se già in COP28, si discuteva per cercare di ottenerne la partecipazione con una formula che non costituisse un riconoscimento del governo talebano, la soluzione attuale è quella di un invito di tipo tecnico: una squadra priva dello status di rappresentanza governativa, guidata dal direttore dell’Agenzia nazionale di protezione ambientale Mawlawi Matiulhaq Khalis.
Dunque senza diritto di parola nell’Assemblea, ma con libero accesso agli eventi di secondo livello di tipo tecnico e non politico.
Per i talebani si tratta comunque di un debutto importante sul palcoscenico mondiale: la Cop29 è infatti l’evento internazionale di maggior rilievo a cui sono stati ammessi, entrando dalla porta di servizio.
Non è un caso che proprio l’Azerbaijan, nazione ospitante, abbia riaperto lo scorso giugno l’ambasciata a Kabul, in vista di un riavvicinamento diplomatico, propedeutico alla conferenza di quest’anno.
E così, mentre si discute di come ridurre le emissioni, abbandonando i combustibili fossili, si fa strada un paradosso: secondo Global Witness, la Socar, compagnia pubblica dell’Azerbaijan ha concluso contratti per forniture di petrolio per circa otto miliardi di dollari.
Senza dimenticare che le viscere dell’Afghanistan sono ricche di rari minerali, oggi essenziali per la transizione energetica e forse il sospetto che la Cop29 sia più che altro una Cop…ertura per fare affari su larga scala sembra essere piuttosto forte.
In questo contesto si collocano in primis le dichiarazioni del neo eletto presidente U.S.A. Donald Trump che annuncia nuovamente il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi, relativi agli impegni di contrasto al cambiamento climatico, ma anche la crisi dell’industria automobilistica europea, che sta subendo i diktat dell’UE sulle tempistiche della transizione all’elettrico.
Stabilimenti chiusi e licenziamenti in Germania regalano uno scenario totalmente inedito che avvantaggia la Cina, da sempre all’avanguardia dal punto di vista tecnologico.
Infine, il perdurare del conflitto in Ucraina ancora oggi mette in seria difficoltà l’Europa sull’approvvigionamento del gas naturale proveniente da Kiev e dalla Russia stessa.
Una situazione complessa, sensibilmente differente rispetto a quanto si evince dal mainstream, ma anche a questo siamo ormai, purtroppo abituati.